Ulvaeus invoca percentuali più alte per gli autori
Björn Ulvaeus è un nome che, probabilmente, non a tutti dirà subito qualcosa ma ABBA vi sarà certamente più familiare. E dunque il signor Ulvaeus, cantante e chitarrista della band svedese che ha fatto la storia degli anni 70/80, insieme a Benny Andersson motore creativo della band ed oggi presidente della CISAC (la Confederazione Internazionale delle Società di Autori e Compositori è un'organizzazione internazionale non governativa, senza fini di lucro, che mira a proteggere i diritti e promuovere gli interessi dei creatori di tutto il mondo), ha spiegato in un editoriale sul Guardian, quanto sia paradossale che ad autori e compositori non sia riconosciuta la dovuta importanza.
Sotto accusa, nemmeno a dirlo, il passaggio naturale(?) alla song economy. L’industria musicale impone sempre più il continuo rilascio di singoli a discapito di un album che trova sempre meno aderenza, soprattutto in un pubblico giovane e sempre iper connesso che non ha, probabilmente, mai provato l’ebbrezza di ritagliarsi un po’ di tempo da dedicare alla scelta di un album da far suonare su un giradischi. I giovani ascoltano tantissima musica ma in modo distratto e soffermandosi poco o nulla sull’immenso lavoro che c’è dietro. Pochi secondi di ascolto e si schippa al brano successivo.

Qual è la possibile soluzione al problema?
Come riequilibrare il sistema musicale? Ulvaeus parte da una riflessione semplice: i guadagni degli autori provengono solo ed esclusivamente dalle canzoni. Il paradossale dove si crea? Nel divario economico tra quanto percepisce un artista ed un etichetta discografica e l’autore del brano, nonostante un elevato numero di streaming. In pratica gli autori guadagnano un terzo di quello che guadagnano gli interpreti.
Qual è dunque una possibile soluzione? La proposta di Ulvaeus mira a coinvolgere direttamente il pubblico, consentendo loro di retribuire con percentuale maggiore, gli autori dei brani che preferiscono mediante un sistema di stanziamento delle royalties da parte dei DSP (Digital Signal Processor, ovvero elaboratore di segnale digitale).

Tale proposta si sta diffondendo pian piano ed ha trovato consensi in artisti del calibro di Paul McCartney, Noel Gallagher, Kate Bush e Robert Plant solo per citarne alcuni. Per tutti l’obiettivo è rimettere “la musica nelle mani dei musicisti”, condannando fortemente che questi guadagnino solo il 15% dai proventi dallo streaming. Va detto che probabilmente è anche troppo elevata la percentuale che Spotify, ad esempio, trattiene per ogni streaming, ben il 30%.
“Non intendo, per un momento, suggerire di tornare indietro nel tempo, come ci si potrebbe aspettare da un'anziana pop star”, conclude Ulvaeus: “Quello che è successo nell'ultimo decennio ha il potenziale per essere incredibilmente positivo per gli autori. Un movimento è iniziato su entrambe le sponde dell'Atlantico, prendendo slancio durante la pandemia: il 2021 promette di diventare l'’anno della canzone”.
Ed in Italia cosa accadrà? Si ergeranno a paladini della causa anche i nostri big o il tutto si fermerà ai confini sopracitati? Ai posteri (speriamo non troppo posteri), l’ardua sentenza.