Il futuro è adesso
Quando pensiamo all’intelligenza artificiale, qualcuno di noi è forse portato ad immaginare scenari utopici, realtà futuristiche in cui le macchine gestiscono autonomamente il mondo. Qualcosa di ancora lontano da noi, ecco, ma non è così. Se pensiamo al mondo della musica, l’AI ha già assunto grande rilevanza, soprattutto nel modo in cui la fruiamo.
Un esempio molto semplice: avete presente le playlist che Spotify crea automaticamente e appositamente per noi? Playlist come Discover Weekly, Daily Mix, I tuoi brani preferiti dell’anno e tutti gli altri relativi suggerimenti? Questi sono tutti esempi di utilizzo di intelligenza artificiale da parte dei software di Spotify che, tramite degli algoritmi che tengono conto tra i tanti fattori della cronologia delle ricerche dell’utente e della sua geolocalizzazione, offre elenchi di brani personalizzati.
Come Spotify anche altre piattaforme di streaming musicale, Apple Music, Amazon Music, Deezer fanno largo utilizzo di intelligenza artificiale nelle loro funzioni.
Oltre lo streaming musicale, viene fatto largo uso di AI negli smart speaker (Alexa, Siri), strumenti in constante evoluzione, in grado anche di riconoscere l’umore del suo possessore dal tono della voce e di fornire risposte sempre più esaustive.
Comunque, con il passare degli anni, l’intelligenza artificiale sta acquisendo progressivamente molta importanza, non solo nella fruizione e nella distribuzione della musica, ma anche nell’aspetto compositivo e nel conseguente problema relativo ai diritti d’autore.
I primi esperimenti musicali con l’AI
L’utilizzo della tecnologia per comporre musica non è però di certo una novità. Il primo esempio di brano interamente composto attraverso l’utilizzo di un computer è la Illiac Suite for String Quartet di Lejaren Hiller and Leonard Isaacson risalente al 1956.
Doveroso menzionare anche “Verbasizer”, un software nato nel 1995 dalla collaborazione fra David Bowie e Ty Roberts, l’allora direttore tecnico di Universal Music. In questo caso, il software non fu usato per comporre musica ma per scrivere il testo della canzone. Previa aggiunta manuale di parole e frasi, il software era infatti in grado di rimescolarle in modo da formare nuove frasi di senso compiuto.
Comporre con l’intelligenza artificiale
Anche se l’uso dell’intelligenza artificiale nel processo di composizione di musica non è una novità, negli ultimi anni è diventata una solida realtà, destinata ad avere sempre più spazio. Gli investimenti in questo settore aumentano infatti vertiginosamente. Ad oggi, sono decine le piattaforme dedicate alla composizione musicale da parte della AI. Tra le più importanti ricordiamo: Flow Machines, IBM Watson Beat, Google Magenta’s NSynth Super, Jukedeck, Melodrive, Spotify’s Creator Technology Research Lab e Amper Music.
Il loro funzionamento è molto simile ed è basato su sistemi di deep learning e machine learning, specifici meccanismi di apprendimento dell’intelligenza artificiale, e di algoritmi in costante aggiornamento grazie alla continua elaborazione di grandi moli di dati.
Una delle prime società ad investire nel settore è stata Sony Music con Flow Machines. Il software, tramite l’elaborazione del repertorio dei Beatles e la direzione artistica del compositore francese Benoît Carré che ha scritto il testo, ha prodotto Daddy’s Car, un brano in stile Beatles.
Lo stesso Carré, sotto lo pseudonimo di SKYGGE, ha anche pubblicato con Flow Machines l’album Hello World.
Si è limitata agli arrangiamenti e alla scrittura del testo anche l’artista americana Taryn Southern che ha prodotto l'album I AM AI, utilizzando il programma Amper.
L’AI ha avuto grande anche utilizzo nell’esperienza crossmediale del concerto di Travis Scott su Fortnite, un evento che potrebbe aver segnato una nuova era per la fruizione non solo dei videogiochi ma anche della musica.
L’intelligenza artificiale ha poi trovato terreno fertile nel campo della musica classica, dove è stata utilizzata per concludere sinfonie incompiute. È il caso della celebre “Incompiuta” di Schubert per la quale Huawei ha sviluppato un apposito software per comporre diversi possibili finali.
Una delle prime società ad investire nel settore è stata Sony Music con Flow Machines. Il software, tramite l’elaborazione del repertorio dei Beatles e la direzione artistica del compositore francese Benoît Carré che ha scritto il testo, ha prodotto Daddy’s Car, un brano in pieno stile Beatles.
Lo stesso Carré, sotto lo pseudonimo di SKYGGE, anche pubblicato l’album Hello World, prodotto con Flow Machines. Si è limitata agli arrangiamenti e alla scrittura del testo anche l’artista americana Taryn Southern che ha prodotto il suo album, I AM AI, utilizzando il programma Amper.
L’AI ha avuto grande anche utilizzo nell’esperienza crossmediale del concerto di Travis Scott su Fortnite, un evento che potrebbe aver segnato una nuova era per la fruizione non solo dei videogiochi ma anche della musica.
L’intelligenza artificiale ha poi trovato terreno fertile nel campo della musica classica, dove è stata utilizzata per concludere sinfonie incompiute. È il caso della celebre “Incompiuta” di Schubert per la quale Huawei ha sviluppato un apposito software per produrre diversi possibili finali.
I computer sostituiranno i musicisti?
Gli esempi di Daddy’s Car e di Taryn Southern dimostrano che, per quanto siano notevoli i risultati raggiunti, l’apporto umano è ancora necessario. Anche solo per decidere quali dati devono processare i software. Possono quindi tirare un sospiro di sollievo coloro che temono che le macchine rimpiazzino gli uomini, o chi sostiene la superiorità artistica dell’uomo sulla macchina.
A rassicurarli c’è anche Oliver Schabenberger, vice presidente di SAS, una delle più importanti società specializzate in intelligenza artificiale, che intervistato da Business People ha dichiarato: «I nostri sistemi di A.I. apprendono dai dati e dai dati soltanto. Non sono realmente intelligenti, almeno sulla base della concezione umana di intelligenza. Non hanno creatività, innovazione, consapevolezza di sé. Se afferriamo questo concetto, allora potremo capire anche che questi algoritmi non si ribelleranno e non conquisteranno il mondo. Non stiamo costruendo macchine che pensano come gli esseri umani. Stiamo costruendo software che ci aiutino a svolgere compiti specifici e ben definiti».
La questione del copyright ed altri dubbi
Se è assurdo pensare ad una rivolta della macchine in stile Terminator o Io,Robot, non è però così insensato ipotizzare una progressiva e parziale sostituzione dei musicisti in ambito pubblicitario e commerciale. Le aziende potrebbero infatti ottimizzare le spese e i profitti per i loro jingle pubblicitari, ad esempio.
Un altro dubbio è quello riguardante la questione dei diritti d’autore. Nel momento in cui è un software a comporre un brano a chi spettano i diritti? Alla persona che lo ha ‘diretto’? Ma tecnicamente non ha svolto lei il lavoro vero e proprio.
Al software? Ma in quanto macchina non è consapevole di sé ed avrà pur sempre un proprietario che ne possiede i diritti.
Non è però ciò che pensano Pierre e Vincent Barreau, creatori di Aiva, il primo compositore musicale virtuale registrato come autore alla SACEM, la SIAE francese. Una questione questa della relazione tra proprietà intellettuale e AI non di poco conto, che vede impegnata anche la WIPO l’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale.